L’ultimo film di Ken Loach è veramente un esempio perfetto dello stile e del messaggio del famoso regista comunista inglese, che con questo lavoro si è guadagnato a Cannes la Palma d’Oro - e, a Londra, un’altra dose di meritato odio da parte della classe dominante e dei suoi tirapiedi.

La pellicola percorre, attraverso la vita di due fratelli indipendentisti, le vicende dell’Irlanda negli anni che vanno dal 1920 fino allo scoppio della guerra civile successivamente alla firma del truffaldino “trattato di pace” con la Gran Bretagna.

Il film è veramente un anti-Michael Collins: se in quel film sul leader dell’ala “possibilista” del nazionalismo irlandese si magnificano le virtù di questo dirigente sceso a compromessi con l’imperialismo britannico, deprecando al contempo il presunto estremismo degli oppositori del trattato, personificato dall’ambizioso Eamon De Valera (futuro primo presidente della repubblica irlandese), Il vento che accarezza l’erba ribalta completamente la prospettiva e mostra gli inganni della trattativa che si trasforma in tradimento, del riformismo che si trasforma in reazione, della pace con gli oppressori che diventa guerra agli oppressi.

L’equivalente di Michael Collins (in scala ridotta) per Loach è uno dei due fratelli, Teddy O’Donovan. Dirigente anche piuttosto spietato dell’IRA fino al 1923, quando viene siglata la pace tra l’Impero Britannico e lo Sinn Féin (che subito si spacca in due proprio su questo), si trasforma rapidamente in un difensore strenuo dell’accordo con gli imperialisti, indossando con fierezza le divise dello “Stato Libero d’Irlanda”, niente più che un dominion in seno all’Impero di Sua Maestà, sotto il controllo indiretto della Corona Britannica che in buona sostanza delega ai sostenitori di Collins i compiti che prima erano delle sue feroci truppe coloniali.

Loach non si fa illusioni psicologiche né si perde in discorsi qualunquisti sulla “natura umana”: la scelta, in fondo collaborazionista, di Teddy, che rivolge le armi contro i suoi vecchi compagni e alla fine addirittura contro suo fratello, è una scelta di classe. I libri di storia ci insegnano che nel periodo dello “Stato Libero” i difensori del trattato di pace arrivarono addirittura a costituire un corpo speciale di polizia con lo specifico compito di difendere i proprietari terrieri protestanti dalle “violenze” di contadini e braccianti che ne invadevano le terre, sostenuti dalla sinistra repubblicana. Anche Teddy si schiera apertamente coi proprietari, purché “patrioti”. Già nel periodo caldo della lotta contro gli inglesi, difendendo uno strozzino irlandese litiga col fratello Damien e con il ferroviere, sindacalista, repubblicano e comunista, che ha per primo aperto gli occhi a Damien O’Donovan: per Teddy non ci si può mettere contro l’usuraio, perché «è un irlandese» e finanzia l’IRA, e poco importa se anche la vecchietta strangolata dai debiti sia irlandese e se anche il “tribunale popolare” che la vuole difendere sia composto da repubblicani; per Damien, per la sua compagna Sinead, per il ferroviere, non ha invece senso la lotta per la liberazione nazionale se non serve come grimaldello per scardinare il privilegio di classe: ai loro occhi lo strozzino è «come gli inglesi», l’oppressione dell’Irlanda da parte dell’Inghilterra è una replica su scala internazionale delle stesse contraddizioni di classe. Nel litigio volano parole pesanti, gli uni accusano gli altri di voler solo verniciare di verde la vecchia e marcia società di classe irlandese, gli altri replicano che è pur sempre meglio verniciarla di verde che di rosso… Ma lo scontro vero, non più a parole ma a fucilate, emergerà solo più tardi, quando la Corona capirà che è proprio su queste contraddizioni che può fare leva per dominare in forma indiretta la colonia.

Come tutti i film impegnati che si rispettino, anche questo fa un discorso sulla presa di coscienza - o sulla sua mancanza. Non ci sono “buoni” o “cattivi” senza spessore. Teddy e Damien provengono da una famiglia benestante di campagna, il fratello di sinistra accusa l’altro di non essersi liberato da quel retaggio sociale, ma lui stesso prende coscienza più tardi degli altri, dopo aver coltivato a lungo l’illusione di operare il bene semplicemente attraverso la professione (cioè la medicina: la figura del giovane medico idealista che si dà alla Rivoluzione e le sacrifica la vita ci è familiare, da Che Guevara fino al nostro martire pavese, Ferruccio Ghinaglia). Dopo l’uccisione di un amico che si ostinava a parlare in gaelico alle forze coloniali inglesi, cruciale è per lui assistere alla coraggiosa resistenza dei lavoratori delle ferrovie al trasporto di truppe monarchiche. Il ferroviere che con grandissima dignità si rifiuta di obbedire agli ordini brutali dei colonialisti perché vorrebbe dire violare le consegne del suo sindacato, è in fondo un simbolo chiarissimo della possibilità di un potere alternativo a quello padronale ed imperialista; d’altronde, non si può non sorridere compiaciuti di fronte alla consueta ottusità borghese quando la soldataglia per far partire il treno… stende a pugni e calci il ferroviere: è il solito problema della borghesia, vorrebbe fare a meno delle maestranze ribelli ma le serve pur sempre qualcuno che “tiri la carretta”! gli stupidi soldati restano così comunque a piedi.

Damien entra dunque nell’IRA, in cui il fratello era già una figura riconosciuta a livello locale; sarà però il ferroviere il suo vero punto di riferimento politico: mentre per Teddy la lotta è una guerra nazionale camuffata da guerra civile, per Damien è una guerra civile camuffata da guerra nazionale e lo entusiasma la citazione che fa il ferroviere di James Connolly, il leader rivoluzionario, vicino ai bolscevichi russi, ucciso dagli inglesi dopo l’Insurrezione di Pasqua del 1916: «Potrete anche piantare la bandiera verde sul più alto pennone di Dublino, ma se non instaurerete una repubblica socialista gli inglesi continueranno a dominarvi attraverso i capitalisti, attraverso le banche commerciali e attraverso il latifondo». Brivido lungo la schiena: quelli tra gli spettatori del film che capiscono cosa significhi la frase sembrano condividere con facilità questo ragionamento rigorosamente marxista (ma che in fondo è di puro buon senso), ma non è cosa di tutti i giorni sentir parlare di “repubblica socialista” al cinema!

Si è parlato naturalmente molto della violenza in questo film. L’argomento sempra appassionare molto i vari moralisti che trovano curioso e in fondo anche un po’ scandaloso che un film che non sia del governatore Schwarzenegger indugi con occhio benevolo su copiosi travasi di sangue dal sistema circolatorio di qualcuno al pavimento. Noi sappiamo che non c’è ragionamento sulla liberazione che non sia anche un ragionamento sulla violenza. Per Loach non merita particolare giustificazione la violenza contro gli inglesi; viene naturalmente svolto il compitino di mostrare la brutalità dell’occupazione coloniale, per innescare un meccanismo inevitabile di identificazione con gli oppressi, ma si vede che il regista non ci presta molta attenzione, chi dubita dell’opportunità per un popolo di liberarsi con tutti i mezzi necessari non troverà in questa pellicola argomenti per convincersi. Tullio Kezich in una recensione ottusa lamenta proprio questo del film, che fosse troppo “parziale” a favore degli irlandesi! Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere, ma d’altronde trovandosi la recensione ospitata dal magazine settimanale del “terzista” il Corriere della Sera, non ci stupiamo che Kezich si aspettasse (ma ha mai sentito parlare di Ken Loach?) un film cerchiobottista, magari anche un po’ “revisionista” à la Pansa, che mostrasse anche i vantaggi del colonialismo e le magagne del fronte repubblicano. Lo stesso disorientato recensore, infatti, gioisce del fatto che perlomeno nel secondo tempo si dia ampio rilievo al germe della cattiveria umana penetrato anche nel campo nazionalista; mi pare evidente che siamo di fronte ad un caso di intento comunicativo fallito per target mismatch, non si tratta di un film per dei Tullio Kezich e l’esposizione di questi ultimi alla pellicola può portare a risultati imprevisti. Per Loach naturalmente il secondo tempo non è sulla miseria umana degli oppressi che “litigano tra di loro”, anzi la sua simpatia (e la nostra) va tutta ai “mestatori” che rompono immediatamente l’unità (interclassista) del fronte repubblicano di fronte al tradimento dei Micheal Collins e dei Teddy O’Donovan.

Il film dunque non chiede scusa né trova scuse per la violenza contro i tiranni e gli sfruttatori. Al re d’Inghilterra si attribuisce con naturalezza più o meno la stessa umanità dell’imperatore Ming di Flash Gordon. Mentre però in Michael Collins troviamo un compiacimento (inspiegabile in un film che in fondo è moderato e perbenista) nel dipingere le azioni eroiche, ma in fondo terroriste, dei pistoleros dell’IRA, ne Il vento che accarezza l’erba si intravede una critica (soprattutto nella scena dell’imboscata) anche alla tattica militare del nazionalismo piccoloborghese, che fa una caricatura di una guerra regolare innescando tutta una serie di meccanismi (patriottismo cieco, obbedienza ai capi, appiattimento del conflitto su basi nazionali) che di fatto ostacolano la trasformazione della lotta di liberazione in rivoluzione sociale. In Michael Collins addirittura si contrappone invece (per puro spirito di adulazione nei confronti di Collins) il terrorismo individuale alla guerriglia con scontri campali, facendo apparire il primo come la tattica “saggia” e “plebea” del protagonista, mentre il secondo sarebbe uno sfizio folle (perché votato alla sconfitta per ragioni tecniche) dei politicanti volponi e ambiziosi, ma anche molto privi di senso pratico, come De Valera. Mah…

Passando al fronte opposto, Ken Loach non ha alcuna pietà od empatia verso i colonialisti britannici e i loro collaboratori. Senza giustificarli neppure un po’ (con gran dispiacere appunto dei vari Tullio Kezich), prova però a spiegarli. I soldati prima di tutti, che appaiono di frequente brutali nel trattare con una popolazione che non comprendono perché non accetti il dominio della Corona, a cui ovviamente essi attribuiscono una funzione civilizzatrice nei confronti dei “bifolchi feniani”, ma anche sbigottiti allorché la riottosità del popolo erompe in azioni violente ai loro danni. Uno di loro spiega ad un rivoluzionario tratto in arresto che hanno finito da pochi anni di combattere in trincea per la Corona, come si può chieder loro di tradire il proprio Paese? Certo, in questo caso si tratta di motivazioni ideologiche (in senso marxiano, voglio dire di “falsa coscienza”), in realtà i soldati si ingannano credendo che torturare feniani sia nei propri interessi. Qualcuno se ne accorge, e rompe il micidiale meccanismo del comando su cui si regge l’intero impianto dello sfruttamento: la porta della galera viene aperta da una recluta coraggiosa, che simpatizza per la causa irlandese. Non è più solo ideologia, invece, ma anche lucida coscienza di classe quella che spinge il possidente, irlandese ma protestante, per cui lavora un giovane militante repubblicano a denunciare lui e i suoi misteriosi amici che vengono spesso a trovarlo nella tenuta confabulando misteriosamente nella stalla. Il ragazzo viene catturato e per viltà fa i nomi dei suoi compagni, che vengono presi e torturati. Quando sul possidente terriero cade la vendetta dei ribelli, questi fa una fiera dichiarazione di adesione alla causa della sua classe: «Non prevarrete mai!», e lo dice con una sicurezza profetica che lascia intendere che anche lui, dal suo versante sociale, avesse ben chiara la lezione di Connolly. Certo, anche lui cede all’ideologia, si direbbe sinceramente, quando solleva anche una motivazione confessionale: «Non lascerò che il mio Paese precipiti nella barbarie cattolica»; se è vero, come si è detto, che questo film parla anche dell’occupazione dell’Iraq, questo è il punto in cui l’analogia si fa più stringente, col ricorso alle superstizioni degli oppressi (nel caso iracheno, “la barbarie fondamentalista islamica”) come giustificazione della loro oppressione. Anche i ranger texani (qui mi sto facendo influenzare dal bellissimo Il collare spezzato di Valerio Evangelisti) perseguitavano gli immigrati messicani adducendo la scusa della loro arretratezza “papista” («Guardate come trattano le loro donne», come dicono oggi i maschilisti leghisti in Italia contro gli immigrati arabi), salvo poi prendersela soprattutto con gli attivisti messicani di sinistra, anticlericali e mangiapreti fino all’osso. Il problema merita una riflessione: da un lato deve invitare i rivoluzionari ad un atteggiamento cauto ed attento verso i pregiudizi degli oppressi (non vorremo comportarci con loro come fanno gli sfruttatori?), d’altro canto è cruciale una lotta per superarli e vorrei su questo fare riferimento ad un bell’articolo che ho letto su Starry Plough (“Aratro di Stelle”), la rivista del Partito Socialista Repubblicano Irlandese, a favore del diritto d’aborto in Éire (posizione coraggiosa, perché anche tra i repubblicani di sinistra è molto diffusa l’ostilità cattolica verso l’aborto): spiegava che il fondamentalismo cattolico in Irlanda non era solo un crimine contro le donne irlandese ma era anche un ostacolo all’unificazione dell’Isola, in quanto rafforzava nella comunità protestante in Ulster la convinzione che la liberazione dell’Irlanda del Nord significherebbe l’imposizione di una teocrazia soggetta al Vaticano.

In generale comunque la religione nel film di Loach conta poco, anche se viene correttamente (dal punto di vista storico) mostrata una certa caratterizzazione anche confessionale dello scontro (evanescente, forse per politically correctness, nell’altro film che ho ormai citato troppo volte). Il momento più significativo è quando, dopo la proclamazione dello Stato Libero, tutti i compaesani dei fratelli O’Donovan, ormai spaccati in due dalla guerra civile, vanno a messa (inclusi Damien e Sinead e altri comunistoni chiaramente con forti inclinazioni verso l’ateismo, ma in antico gergo di sinistra si direbbe che si tratta di “contraddizioni in seno al popolo”): il prete pensa bene di dare lettura, criticandone duramente i vari slogan, di un volantino della sinistra repubblicana che critica il trattato di pace e, quel che è più grave agli occhi del sacerdote, incita alla lotta di classe, propugnando l’esproprio delle fabbriche e la divisione delle terre. Dai banchi il gruppo degli intransigenti (piuttosto numeroso, e anche questo è storicamente verosimile) ci si alza per criticare apertamente l’omelia, tutto finisce in una gazzarra e sdegnosamente mezza assemblea dei fedeli si alza ed esce dalla chiesa dopo l’orgogliosa frase sputata da Damien addosso al pretaccio: «Ancora una volta, la Chiesa cattolica si schiera coi padroni contro il popolo».

La violenza nel film però è anche quella “fratricida”. Anche qui, Loach non cede alla banalizzazione moralista. Un irlandese può sparare ad un altro irlandese per molte diverse ragioni. Fucilare il padrone collaborazionista, per quanto costui sia nato in Irlanda, chiaramente non ha niente di fratricida, è un’estensione della lotta di liberazione nazionale e pure della lotta di classe. Ma che fare con il ragazzo, militante dell’IRA, che ha tradito i suoi compagni non solo sciorinando i loro nomi al nemico, ma anche evitando, per paura e per vergogna, di avvertirli al più presto del pericolo che stavano correndo e di “costituirsi” al comando repubblicano? A Damien e ai suoi compagni viene ordinato di fucilare il “traditore” in una delle scene più “forti” e toccanti; non sanno cosa fare, la richiesta impietosa sembra loro una totale enormità: vorrà essere Damien ad obbedire al terribile ordine; il ragazzo, che è rimasto nonostante tutto un fervente repubblicano, chiede come ultimo desiderio di non essere assolutamente seppellito «vicino a quello lì», il suo padrone che viene ucciso senza troppe cerimonie subito prima di lui. È interessante vedere l’evoluzione di Damien a questo proposito; una sceneggiatura moralista vorrebbe il giovane repubblicano nel pieno dell’entusiasmo rivoluzionario disposto a fucilare senza pensarci due volte il ragazzo, amico di famiglia e conosciuto da una vita, e successivamente, con l’avvitarsi su se stessa della lotta e lo scoppio della guerra civile, farsi venire mille dubbi e, finalmente lontano dal calore “disumanizzante” dei fervori rivoluzionari, diventare saggio e capire amaramente la vanità e la peccaminosità delle sue azioni; viceversa, in questo film si ha il contrario: al momento Damien è sbigottito, decide di essere lui a fucilarlo quasi solo per stargli più vicino nel momento fatale e in qualche modo compiere “con dolcezza” quell’incombenza, ma la ritiene una cosa tremenda, pazzesca. Quando poi, anni dopo, cade prigioniero dei suoi ex compagni di lotta diventati, per dirla sbrigativamente, dei venduti, non pensa «Ecco, la storia si ripete ma ora sono io nella parte della vittima», con annesso pessimismo storico e via dicendo; al contrario, esibisce al fratello “venduto” che il giorno dopo lo fucilerà (e con questo ho fatto luce sugli ultimi cantucci, rimasti in ombra, della trama) quel peso che ha dovuto sopportare come un ulteriore marchio di infamia verso chi ha tradito la causa: «Io per questa causa ho dovuto sparare ad un amico, come puoi chiedermi di tradirla?». Tanto più visto che il tradimento è tanto infame da costare comunque il prezzo di sparare ad un fratello. La violenza non nobilita la lotta, ma neppure la degrada: la rende carica di tante sofferenze aggiuntive e spesso superflue da richiedere che perlomeno a tali sforzi sia dato un riscatto adeguato.

Un’ultima considerazione va fatta sul piano storico, e mostra forse la mancanza maggiore del film (non dal punto di vista artistico, ma indubbiamente da quello politico): cosa è successo dopo? Hanno prevalso i Teddy o i Damien? In realtà formalmente nessuno dei due. Lo Stato Libero d’Irlanda ha vita breve, viene fondato ufficialmente dopo l’uccisione di Collins, nel dicembre 1922. Nel 1932 Cosgrave, il successore di Collins (e decisamente più moderato ed anticomunista di questi) viene sconfitto alle elezioni dal nuovo partito Fianna Fáil, guidato dal più radicale Eamon De Valera, che aveva guidato l’ala intransigente durante la Guerra Civile. L’impianto dello Stato Libero viene gradualmente smantellato (con la proclamazione dell’Éire nel 1937) e si arriva nel giro di pochi anni, complice anche la Seconda Guerra Mondiale e l’avvio di un processo di decolonizzazione su scala mondiale, alla formazione di una repubblica indipendente con l’eccezione della parte settentrionale dell’isola che resta occupata dai britannici. In politica interna, tuttavia, De Valera realizza esattamente la profezia negativa di Connolly: si issano bandiere tricolori sulle sedi del potere politico ma la bandiera invisibile del Capitale resta issata su tutti gli altri edifici. Retrospettivamente, si afferma spesso che le vicende successive dimostrarono che aveva ragione Collins a dire che il Trattato di Pace con l’Impero Britannico non garantiva la libertà ma garantiva «la libertà di ottenere la libertà»; esiste una citazione di De Valera ormai anziano, con cui si chiude il film Michael Collins, in cui “Dev” si riconcilia simbolicamente col proprio avversario, dicendo che la figura di Collins va rivalutata. La verità è che il nazionalismo borghese e piccoloborghese, anche quando “intransigente”, non legando la “questione sociale” alla questione nazionale, finisce sempre in una forma o in un’altra di opportunismo. Lo stesso Provisional Sinn Féin (quelli che di solito si intende indicare in Italia quando si dice “IRA”), che ha mantenuto per decenni verso l’Éire una posizione simile a quella di De Valera verso l’Irish Free State, è poi finito, con il Good Friday Agreement, per percorrere una strada di compromesso del tutto simile.

La vittoria di De Valera, e l’attuale esistenza di un’isola capitalista, dominata dal clero cattolico e spaccata in due dalla politica criminale “divide et impera” dell’imperialismo britannico, è alla fine un’ironica rivincita di Teddy O’Donovan. Damien O’Donovan sta ancora aspettando la Repubblica Socialista d’Irlanda sognata da James Connolly. E noi con lui.

Su James Connolly, si veda anche il mio video nella serie prodotta da Sinistra Classe Rivoluzione sui grandi rivoluzionari della storia: